- Che ci faccio qui?
Affacciato dalla Piazza Verde osservo lo spettacolo iridescente del traffico svolgersi almeno quindici - venti metri sotto di me. - Non ricordo da quanto io sia qui, ma è da un tempo immemore che dedico le mie giornate all’esplorazione del Settore Giallo. - Si, sapevo che poteva essere pericoloso, ma a me, quando ancora solo sorvolavo una superficie di circa venti ettari, e potevo abbracciare in un solo sguardo le maglie di uno spazio reticolare, su più livelli, appoggiato su pilotis apparentemente esili, questo viaggio non appariva così privo di avventure e situazioni appassionanti… Così, appena arrivato, il desiderio mi ha portato al circo e al gran ballo, e mentre osservavo lo spazio circostante deformarsi attraverso lenti illusorie, gruppi dal sinistro nome di squadre situazioniste mi introducevano alle regole di un gioco tanto semplice quanto atavico: quello di strutturare e destrutturare lo spazio, con l’ausilio di elementi architettonici, pannelli mobili, scale, rampe ed elementi multimediali, apparecchi acustici e videoproiettori. - Improvvisamente, nella casa-labirinto mi ritrovai immerso in un gioco cui tutti stavano apparentemente giocando, e mentre ero intento a scoprire una logica alla base di ogni scelta, che era forse solo casualità, o umore e capriccio, o momento rivelatore di un processo di avvicinamento a sé stessi, fui colto dal disorientamento nel non riuscire, mai, a tornare sui miei passi, di non ritrovare, mai, uno stato di cose a me noto. Sapevo che prima di chiamarsi New Babylon, di cui il Settore Giallo è una delle unità elementari, una delle innumerevoli, poiché New Babylon è potenzialmente infinita, questa città avrebbe dovuto chiamarsi Dériville, ma quale ville a noi nota non ha centro né periferia, ed è cangiante come un’idea? È il demonio labirintico che si aggira a New Babylon ad indurre i neobabilonesi a fuorviarsi e smarrirsi dando forma ai propri desideri? Potrebbe sfuggire alla ragione, ma si può passare una parte della propria vita a disegnare, scolpire, costruire maquettes di una città non pensata per essere realizzata, ma per far nascere e crescere in altri il desiderio di altri spazi e altri stili di vita, e si può anche teorizzare un urbanismo, detto unitario, fatto per il piacere. - Non immaginavo fosse proibito… l’ultimo disegno… scusi mi correggo: decreto… Certamente: una casa dove tornare, una famiglia preoccupata, il cane che mi aspetta e le piante assetate, un lavoro “in è scritto nero su bianco: e piante assetate, un lavoro assoluta autonomia operativa, senza vincoli di fasce orarie di lavoro e di presenza”… forse preso troppo seriamente. Che io sia venuto fin qua, io che non sono un rivoluzionario, non era previsto, perché non era pensata per uno come me New Babylon, ma per i neobabilonesi, che sono gli zingari di ieri e i nomadi di domani. Ma è qui che mi riportano ed è da qui che si diramano le tracce di New Babylon, da un grande terrain vague di sterpi e sabbie, ben presto edificato, dove gli zingari sostavano e suonavano, mentre un giovane pittore ed architetto li osservava dalla finestra del suo studio di Amsterdam: Constant Nieuwenhuys, questo il suo nome. Dagli zingari aveva imparato a suonare la chitarra nel loro modo “incredibile e bellissimo”, da Aldo van Eyck aveva appreso i lineamenti di architettura. Per gli zingari che ogni anno dalla Liguria si spostavano in Francia e sostavano, per qualche tempo, nei pressi della città piemontese di Alba, lungo la riva del fiume Tanaro, in un terreno erboso, fangoso e desolato, Constant, chiamato dal pittore Pinot Gallizio (proprietario del terreno), aveva concepito nel 1957, il progetto di un accampamento permanente. Questo progetto è all’origine di New Babylon, di una New Babylon dove si costruisce sotto una tettoia, con l’aiuto di elementi mobili, una dimora comune; un’abitazione temporanea, rimodellata costantemente; un campo nomade su scala planetaria. [1] Come fosse arrivato ad Alba da Amsterdam, passando per Londra e Parigi (dove aveva conosciuto il pittore danese Asger Jorn e con cui aveva dato vita al movimento CoBrA nel 1948), è una lunga storia e non sarà forse questa l’occasione di raccontarla, fatto sta che nel 1957, a Cosio d’Arroscia (in provincia di Imperia), nacque l’Internazionale Situazionista. Vi facevano parte Constant, Jorn, Gallizio, Debord ed altri. Un’idea, tra tutte le altre, li accomunava: quella di liberare l’arte alla Vita e di restituire l’uomo a sé stesso. - Aspetti, mi lasci guardare, questo arcipelago vorticoso. Come lampi di irrequietezza, le macchine squarciano il buio, e disegnano traiettorie impazzite, dirette verso gli altri settori. Mentre gli elicotteri continuano ad atterrare sulla terrazza superiore, moltiplico mentalmente gli spostamenti aerei, al suolo e quelli sotterranei: il totale è un numero vertiginoso e non è l’ora di punta. Non esistono a New Babylon, l’uscita dagli uffici, i ponti lunghi e le partenze intelligenti, perché non vi sono sopravvissute le abitudini, il gioco non è relegato nel tempo libero, non esiste un tempo libero dal lavoro. E il tasso di disoccupazione è inesistente: si da il caso che la produzione sia stata completamente automatizzata, la proprietà privata abolita, i bisogni elementari di tutti soddisfatti puntualmente, secondo le necessità e il bisogno naturale dell’uomo, quello vero e generalmente sopito e messo a tacere, lo vedo incessantemente intento a modellare il suo spazio, ad offrire ai suoi sensi la miriade di stimoli visivi, olfattivi, tattili e uditivi che desidera. Così, in un tempo liberato, il carattere frettoloso di un passaggio svogliato si perde, e si perde con esso il carattere dovuto e sempre uguale degli spostamenti quotidiani. Il passaggio si esprime nel volto, sempre cangiante, dell’ir-requietezza umana, si fa smarrimento, ritorno, attraversamento, diviene punto di transizione da uno stato ad un altro, rito iniziatico, confine labile tra una realtà intravista ed una sua possibile materializzazione. > |
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Viterbo (Italy) 2007
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Nessun cartello, a New Babylon, a suggerire una deviazione obbligata o vietare l’accesso ad un’intenzione, nessuna indicazione dal nome altisonante ad indicare il posto che stavamo cercando: quale cartografia potrebbe rappresentare una città – chiamiamola così – sempre sul punto di farsi e di essere distrutta?
Fatta di passioni, dove si gioca con le illusioni degli specchi, lo smarrimento del labirinto, la disfatta del vicolo cieco? Percorrendo a ritroso la strada che porta a New Babylon, prima di Alba, dei terrains vagues e degli accampamenti nomadi, mi ritrovo a Parigi, la Parigi della “Città Nuda” [2] esplosa in pezzi, disgregata in frammenti fluttuanti nel vuoto, solo apparente, di un terreno sensibile, popolato di forze invisibili, di attrazione e repulsione, centrifughe e centripete, correnti, vortici e punti fissi. È la città come viene esperita e l’esperienza della città come viene rappresentata, secondo le norme di rilievo e rappresentazione urbana della psicogeografia. Teoria messa a punto, nel corso di interminabili passeggiate, dette derive, dai lettristi prima - e in particolare da Debord - dai situazionisti poi, sarebbe in grado di stabilire gli effetti precisi dell’ambiente geografico sul comportamento affettivo degli individui. Ed è nella strada della città reale, eletta a campo di azione ed osservazione, che si intravedono apparizioni fugaci di altre concezioni spaziali, portatrici di situazioni appassionanti e originali e più umani stili di vita. L’evoluzione del concetto di deriva da pratica sperimentale di passaggio frettoloso attraverso i più svariati ambienti a principio creativo e strutturale della città trova in Dériville (la Città della Deriva), meglio conosciuta come New Babylon, il suo compiersi più perfetto. Credo si possa concepire la perfezione incompiuta. Constant stesso stenta a definire New Babylon un progetto, almeno nel senso architettonico del termine, preferendo la denominazione di programma artistico. Si può parlare di uno spazio, dai confini instabili e dalla sfumata apparenza, alla cui esplorazione dedica gli anni dal 1958 al 1973, con tutti i mezzi artistici che gli sono congeniali (modellini dei singoli settori, combinazione dei modellini, acquerelli, schizzi a matita, a penna, collages, sculture, fotomontaggi, installazioni multimediali) e raccogliendo tutto il materiale in una sorta di Atlante, consapevole dell’insufficienza di ogni singola istantanea a restituire l’immagine veritiera di una realtà in trasformazione continua. - Eppure mi domanderanno… lo so. - Ma non ho foto, né GPS, nessuna traccia visibile, nessuna testimonianza materiale di questo viaggio e qualsiasi istante di questa vita dedita alla libertà, all’errare e al gioco. Se io fotografassi, sarebbe già postumo, già negato, già ribaltatosi nel suo contrario a New Babylon. E se dovessi parlarne, o scriverne, dovrei forse immaginare quello che non ho visto e che per riuscire a vedere mi avrebbe portato a percorrere l’intera superficie terrestre? Quando la nostalgia tenderà a scivolare nell’incredulità, a confondersi e confondermi con un’immagine desiderabile ma già troppo sfumata, l’unica immagine di città a me nota sarà quella entro le mie ben solide mura. - Che ci faccio qui? Mi sono semplicemente perso. Affacciato dalla Piazza Verde osservo lo spettacolo iridescente del traffico svolgersi sotto di me. |
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[1] - Benjamin Constant, “New Babylon”, 1974, pubblicato nel catalogo della mostra New Babylon, Haags Gemeentemuseum, Den Haag, 15 giugno - 1 settembre 1974.
[2] - Guy Debord, The Naked City: illustration de l'hypothèse des plaques tournantes en psychogéographique, 1957. Pubblicata nel trattato di Asger Jorn, Pour la forme del 1958. |
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